Pastori del presepe
Ogni anno mi viene il magone quando dobbiamo disfare il presepe, perché ormai, dopo più di un mese fa parte dell’arredamento della casa e disfarlo mi mette malinconia. Ripongo con attenzione i simboli del Natale in uno scatolone e mentre prendo in mano i pastorelli e le pecore mi soffermo a riflettere. Penso a come può essere nell’immaginario collettivo lo stereotipo di pastore agli occhi di chi vive in città. E non me me ne vogliano gli interessati.
In un paesaggio idilliaco immerso in un campo fiorito dove tutto intorno pascolano indisturbate pecore e capre, sembra di vederlo in una giornata fredda d’inverno, sdraiato al sole dietro un buon riparo, che mentre accarezza il buon cane pastore controlla il suo gregge, oppure intento alla lavorazione del legno e alla realizzazione di utensili e manufatti di uso quotidiano, pensare ad una cultura di assoluta autosufficienza materiale, dove l’economia è basata sulla produzione familiare che dalla natura trae tutto ciò di cui ha bisogno.
Uno stile di vita semplice con gli stessi semplici ritmi lavorativi scanditi dalle stagioni. Un tramandarsi di arti e di culture con la lettura di poemi epici e cavallereschi le qui storie vengono raccontate nelle gelide sere d’inverno davanti al focolare.
A questo punto non ci resta che dire: beato lui, che bella vita tranquilla e gioiosa…
Sarà vera quest’immagine così immacolata del pastore che ci ispira per tutto il periodo del Natale? Duemila anni fa forse…
Non è vero che la vita del pastore è meno stressante delle altre, lo stress c’è eccome, tutto l’anno e tutti i giorni, a Natale a Pasqua e Capodanno le pecore si mungono come gli altri giorni, con orari di lavoro snervanti: ci si alza presto la mattina e la sera si finisce sempre molto tardi, si lavora con qualsiasi condizione meteorologica e in qualsiasi condizione di salute… del pastore!
A dispetto di ciò che si può pensare la vita del pastore oggi è diventata frenetica, tra l’impegno giornaliero con gli animali, la gestione dei pascoli, il riordino dei ricoveri, a volte itineranti, quando ci sono… (spesso i pascoli non sono di proprietà e mancano le strutture, l’elettrificazione e l’acqua, e la viabilità è carente).
Senza contare il tempo che si passa da un ufficio all’altro per le pratiche burocratiche. Sempre di corsa, altro che tranquillità!
Il pastore è colui che si preoccupa, che sta in ansia se si ammalano i suoi animali: vengono loro prima di tutto, prima ancora della propria salute. La vita del pastore oggi è una corsa a ostacoli dove non si stacca mai del tutto la spina: timbra il cartellino di giorno e a volte pure di notte. Nel periodo delle nascite il pastore deve badare ai parti, le pecore di notte si portano al sicuro nei recinti e ogni tanto bisogna dare un’occhiata. Per evitare che gli agnellini si confondano è preferibile toglierli fuori dal gregge e tenerli separati insieme alle mamme per tutta la notte. Poi c’è la mungitura, tutti i giorni mattina e sera, anche i festivi.
Che dire, quando gli animalisti e i buonisti insorgono, accendendo polemiche contro i pastori, indignandosi e boicottando i loro prodotti, ma non si esprimono mai quando i cani randagi, le volpi, i cinghiali e i lupi (laddove ce ne sono) assalgono le pecore decimando interi greggi.
Questi soggetti, pieni di pregiudizi nei confronti dei pastori, se potessero, gli impedirebbero anche di campare.
E che dire dei problemi di abigeato, una piaga infinita che affligge il mondo pastorale, che viene lasciato da solo a combattere coloro che dell’illegalità fanno il loro lavoro quotidiano, a discapito dei tanti pastori onesti che invece si sacrificano ogni giorno per operare nel rispetto della legge.
Se a ciò aggiungiamo un mercato senza certezze, dove non si ha nessun potere di contrattazione e i prezzi dei prodotti sono alla mercé degli industriali. Oppure essere ingiustamente rimproverati per gli aiuti comunitari che ricevono, ma che invece sono un metadone che si usa in sostituzione di un prezzo dei prodotti adeguato e remunerativo che consentirebbe al pastore una vita dignitosa, senza dover andare a chiedere col cappello in mano.
Ma i pastori non si arrendono mai, amano questo mestiere nobile e antico che in pochi sono disposti a fare. Chi lo fa per nascita o chi per scelta, come tanti ragazzi speciali che scelgono la pastorizia pur non essendo figli di pastori, o altri giovani coraggiosi che hanno preferito il lavoro in campagna allo studio, per continuare il lavoro dei genitori.
Questi ragazzi hanno un approccio maturo con la campagna e si possono imporre in mercati emergenti, che ricercano e sviluppano nuovi processi e nuovi prodotti con particolare attenzione per l’ambiente. Questi giovani pastori possono creare delle condizioni in cui, il lavoro si svolge in modo sostenibile dando ad esso un’importanza non solo etica, ma anche economica.
Ed è su di loro che dobbiamo riporre il futuro del bene comune. C’è crisi, e tanta, ma non ha colpito tutti allo stesso modo. Banche ed enti pubblici possono rilanciare l’economia se favoriscono l’accesso al credito, riducono la burocrazia e progettano il futuro per i luoghi in cui i giovani sono insediati. Questo è il compito primario di chi legifera se si vuole che la campagna diventi motore di crescita. Diversamente ci sarà sempre un presepe che rispolvereremo di anno in anno e che ci farà intenerire più per i pastorelli che per il suo vero significato religioso.
Un caro saluto,
Pier Angelo
Tula, 17 gennaio 2016