Lottate per la vostra terra. La terra vi ripagherà

IMG_8670TaglUna giornata come tante altre, di questa primavera, è diventata all’improvviso speciale quando – stavo andando in paese – squilla il cellulare e rispondo. Dall’altra parte, il giornalista Alberto Marcomini, esperto caseario, mi saluta e mi dice che uno dei nostri formaggi è stato selezionato per la finale dell’Italian Cheese Awards, un’importante rassegna gastronomica che premia i migliori prodotti del nostro Paese. Vi confesso che l’emozione mi avvolge, mentre mi appresto a raccontarvi questa breve storia che sta dentro la storia della nostra azienda.

L’azienda ebbe inizio nel dopoguerra con la “soccida”, un contratto di lavoro tra mio padre e i proprietari del terreno. A quei tempi i proprietari erano padroni assoluti di tutto e il lavoro dei soccidari, a cui spettava appena un quarto del guadagno (il 75% andava ai proprietari), bastava a malapena a soddisfare i fabbisogni di famiglia. Nonostante questo, i soccidari erano pure invidiati dagli affittuari, che a malapena riuscivano a pagare gli affitti.

Erano tempi difficili, a suo dire: non si avevano grandi comodità, tutto si basava sul lavoro manuale, sia la mungitura che il lavoro dei campi. Ci si accontentava di poco, e si portava a casa quel che si poteva, e nonostante ciò ai proprietari gli si portava riconoscenza. E rispetto.

Fu il caso di mio babbo, che ebbe la fortuna di trovare persone umane e comprensive che, come si suol dire, vivevano e lasciavano vivere.

IMG_8687TaglUn anno, finite le scuole, trovai anche io lavoro in azienda, ma il reddito non bastava per tutti e fui – come dire? – “costretto” a cercare qualcosa che compensasse l’esiguo guadagno. Trovai lavoro in un caseificio. La mattina, dopo la mungitura, lavoravo il formaggio, e la sera tornavo in campagna per mungere le pecore. Lì trovai la mia dimensione ideale, giorno dopo giorno carpivo i segreti del casaro, e così crebbe in me la passione per quest’arte meravigliosa. Nel contempo tenevo i piedi in azienda guadagnandomi l’affetto dei proprietari.

Il destino poi vuole che quando si è tra persone affini, che vanno d’accordo, sessant’anni passano anche in fretta. Un periodo durato due generazioni, dentro il quale ho costruito – e ha trovato posto – la mia famiglia. Essere famiglia richiede passione, dedizione, ti mette in discussione, ti apre a grandi sfide, e ti chiede di metterti in gioco. Nel 2007, io e mia moglie Olga, con tanta incoscienza, acquistammo l’azienda, e subito dopo costruimmo il nostro minicaseificio.

Fare finalmente formaggio in un locale a norma: per me significava portare a compimento il cammino che aveva iniziato mio padre, con umiltà e dedizione.

Ho atteso questo momento fin da quando, anni fa, ebbi la ventura di ascoltare per la prima volta un grande maestro – il dottor Roberto Rubino, presidente dell’ANFoSC (Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo) – raccontare la straordinaria storia del formaggio fatto con il latte di animali al pascolo. In quel preciso istante capii che il valore che c’era dentro quel formaggio che facevo in modo empirico da sempre, aveva qualcosa di straordinario.

Iniziammo a far analizzare il latte e il formaggio, alla ricerca di quei nutrienti che fanno bene all’organismo, così capimmo che tanto il latte quanto il formaggio, più gli animali mangiano erba e più è ricco di sostanze benefiche per la salute.

In Sardegna tutti quanti i formaggi sono di altissima qualità. Il punto è che noi produttori dobbiamo essere in grado di farcela riconoscere e dobbiamo imparare a raccontarla. Una qualità superiore a partire dal latte, le cui caratteristiche siano legate ad un’ottima alimentazione delle pecore, alla cura del loro benessere, lasciate libere di pascolare senza ritmi imposti dall’uomo: E poi la nostra pecora di razza Sarda, fortemente legata al territorio e non selezionata in quanto “macchina da corsa”. Oggi mi trovo tra i più bravi produttori caseari italiani a godermi la vittoria.

Io, pastore e casaro venuto su dal nulla, ancora non mi capacito di avere avuto il lusso di concretizzare un’idea. Un idea che ho condiviso con la mia famiglia e in particolare con Olga che mi ha fatto trovare la giusta combinazione.

Salire sul palco del Duble-Tre By Hilton per aggiudicarmi l’Oscar per il miglior semistagionato nazionale e sentire pronunciare il nome “pecorino Iscala Murada” mi ha dato una gioia indescrivibile.

A tutti voi auguro di provare l’onore e l’emozione che ho provato in quei momenti. Questo riconoscimento è figlio di una grande terra, una terra che merita, che va seminata e non abbandonata, e nel dire questo mi rivolgo sopratutto ai giovani: che non debbono sentirsi “inadeguati”. Abbiano più fiducia in sé stessi, lottando e dando sempre il meglio. Che trovino il coraggio di rimanere qui, a coltivarla questa terra, allenando quel desiderio di curiosità, di ricerca, quella forza misteriosa che li spinge a sognare il modo per cambiare il mondo. Andate avanti ragazzi, lottate e bramate sempre di più, che prima o poi i risultati arrivano.

Ovviamente non c’è nulla di facile o scontato. Ma nemmeno di impossibile.

Un caro saluto,

Pier Angelo

P.S.: Tutti mi chiedono di “Iscala Murada”. Abbiate pazienza: ne parleremo la prossima volta!

Un grazie di cuore a Sonia Piscicelli del blog Il Pasto Nudo per le foto di Su Tusorzu, la festa della tosatura, fatte nella nostra azienda lo scorso anno

Tula, 5 maggio 2016