La pecora Sarda, il nostro futuro

imageIl 23 giugno è stato il giorno del mio compleanno. È complicato spiegare ai tuoi che un convegno sul futuro della pecora sarda è più importante di festeggiare il compleanno in famiglia,  soprattutto a Daniela che nonostante i suoi diciott’anni è sempre “sa piccirinedda e babbu”.

Arrivo a Sassari e trovo l’aula magna della Facoltà di Agraria gremita di gente, tanti studenti,  agronomi, veterinari, dirigenti delle varie organizzazioni agricole, trasformatori di latte, ma pochi allevatori, debbo dire.

I lavori sono iniziati da presto, tra i relatori c’è il gotha della ricerca in campo nazionale, ma penso anche internazionale. Ascolto, si parla di affrontare le nuove sfide poste dai mutamenti internazionali, di nuovi obiettivi della PAC, e poi di cambiamenti nel sistema delle Associazioni Allevatori, di  potenziale concorrenza delle razze straniere. Il convegno si propone di inquadrare la situazione attuale e di fornire nuovi spunti di discussione agli allevatori.

A un certo punto due parole risuonano nella sala: “biotecnologia” e “genomica”. Si può modificare il DNA degli arieti a proprio piacimento e usare quel seme per migliorare la genetica. Eh, nooooo, ancora!?! Personalmente non sono contro la  ricerca, anzi tutt’altro, sono pienamente convinto che lo sviluppo passi proprio attraverso la ricerca scientifica. Ma, voglio dire, siamo sicuri che il futuro auspicato per la pecora sarda sia solo questo? Continuare a spingere geneticamente per produrre di più, o fare più grasso e più proteine per produrre più formaggio?

Proprio in un periodo di esubero di latte come questo sinceramente un altra Dolly mi sembra proprio fuori luogo. Personalmente sono per il miglioramento “genetico ” per la selezione naturale di animali rustici, resistenti alle malattie, adatti al pascolamento, per allevare arieti da pecore con attitudine alla longevità, che forse producono meno ma molto meglio. Continuare a spingere ancora sulle produzioni sinceramente mi fa presagire un futuro mediocre.

Il modello della pecora iperproduttiva alla fine non paga. Le selezioni spinte hanno creato macchine da latte, animali instabili e cagionevoli che oltre ad una alimentazione abbondante tutto l’anno, richiedono costanti cure veterinarie. Alla fine si sono rivelate “carriole antieconomiche” e “insostenibili” sotto tutti i punti di vista. Animali  che vanno a farmaci ad energia fossile e… contributi.

Vorrei andare oltre le ultime vicenda a tinte fosche che in questi giorni hanno riempito i social e le pagine dei quotidiani locali. Quella del pastore, del latte e della pecora è  una crisi ciclica che dura da più di cento anni. Ogni volta che si finisce dentro la crisi ci si ripromette di cambiare modello, poi il prezzo del latte risale e puntualmente si torna a capo, e si commettono gli stessi errori.

Via di nuovo quindi ad alimentare in modo sconsiderato con mangimi, a spingere sulla selezione, a creare e a sostenere le macchine da latte. Un po’ quel che è successo con il bovino, dove vacche che producevano venti litri sono state sostituite da animali che ne producono il doppio, a volte il triplo. Il risultato è che crolla il prezzo e si sprofonda nel baratro. Solo trent’anni fa per fare un chilo di formaggio pecorino bastavano meno di cinque litri di latte;  oggi se tutto va bene ce ne vogliono sei e mezzo. Poi però ci scandalizziamo se il prezzo del latte non copre neanche le spese per produrlo.

Allora, non è sbagliato ciò che dice l’industriale Pinna e cioè che il latte rumeno è di miglior qualità rispetto al nostro.  E come dargli torto se il concetto di qualità si basa sulla legge 169/89  che definisce la qualità solo su grassi e proteine carica batterica e cellule somatiche? Una qualità a norma di legge che però nasconde il valore reale del latte, lo fa diventare un indistinto, una materia prima come un’altra. Su questo fronte la Sardegna ha già oggi delle prospettive immense: serve però cambiare sistema e modello, cioè che al latte da pascolo venga riconosciuto il suo alto valore.

Proprio in questa Università alcuni ricercatori, hanno speso parte della loro vita portando avanti studi importanti e scoprendo che nei pecorini ci sono delle sostanze che prevengono alcune forme tumorali e cardiovascolari. Ecco il futuro della pecora Sarda, la ricerca non dovrebbe insistere su modelli datati che ciclicamente portano a un congestionamento del mercato con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Dovrebbe bensì incentivare gli allevatori a produrre un latte più salutistico, con più CLA più Omega-3, più vitamine e più antiossidanti. Che appunto con il pascolo si ottengono.

Un latte e un formaggio come suol dirsi di nicchia, ricercato da una fascia di consumatori attenti e rispettosi della loro salute.

È chiaro che un processo del genere ha bisogno di tutti: cooperative, industriali, pastori, assistenza tecnica Università e ricerca. Un nuovo ente certificatore, pubblico o privato che sia. Un marchio distintivo che riconosca la qualità superiore di tali formaggi. C’è necessità di un nuovo management che conosca bene il mercato internazionale. Una revisione degli statuti e dei disciplinari di produzione delle nostre DOP, dove inserire nuovi parametri come: razza, UBA (unità di bestiame adulto) per ettaro, sistema alimentare, analisi del profilo acidico. Negli statuti bisogna inserire un articolo ben preciso e perentorio che abbia la funzione di interdire dagli organismi dirigenti dei consorzi  di tutela i trasformatori che fanno commercio anche di altri formaggi. Questo per evitare conflitti di interesse e per tutelare gli interessi degli altri associati.

Tutto ciò però non basterà se continueremo ad avere amministratori regionali senza una  visione chiara di dove si vuol andare e di che cosa bisogna fare. Io faccio il pastore dall’età di otto anni e ho solo la terza media, ma non ci vuole il premio Nobel per capire che le cose non cambieranno mai, solo combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, bisogna costruire un modello nuovo che renda obsoleto e sostituisca il modello precedente. La responsabilità è solo nostra se non sappiamo affrontare questo libero mercato, questa globalizzazione selvaggia con una visione innovativa, in grado di cambiare le cose con efficacia.

Ma secondo voi, è forse una follia pensare che la Regione, così come finanzia mostre per ovini da latte, non promuova concorsi a premio che premino i formaggi più salutistici? Che abbiano come parametri non la morfologia di una mammella, o la produzione di latte bensì, oltre all’analisi sensoriale, gli Omega-3, il CLA,  un rapporto ottimale tra gli Omega-6 e gli Omega-3, il grado di protezione antiossidante, valorizzando così quell’animale meraviglioso e quell’impareggiabile sistema produttivo (il pascolo) che ha permesso alla Sardegna di essere la terra di così tanti centenari? Il tutto promosso a livello internazionale con azioni mirate di comunicazione.

Saremmo la terra più famosa e felice del mondo.

Per me è questo  il futuro della pecora e della popolazione Sarda.

Un caro saluto,

Pier Angelo

Tula, 26 giugno 2016