Campane e pastori

20150711_131008Finalmente arriva l’estate, mentre il paesaggio si tinge di giallo il sole caldo secca la terra, le piante portano i semi a maturazione e le pecore chiedono di essere tosate.

La tosatura è un “alleggerimento” che consente di dare sollievo alla pecora dal peso della lana e dal calore estivo. Insieme alla lana si levano anche le campane, ed è proprio di campane campanelli  e campanacci, saltando la fase di tosatura, (alla quale torneremo più avanti) che oggi mi va di scrivere.

Prima di riappendere alle pecore i campanacci, viene loro fatta la manutenzione ordinaria, si aggiustano le campane e le collane rotte, si unge il cuoio per ammorbidirlo e si rimettono i batacchi che son stati persi.  Nei precedenti articoli abbiamo visto i segni identificativi delle pecore, tra questi non ho volutamente messo le campane che per il loro fascino e utilità meritano un richiamo ben diverso.

Uno dei segnali identificativi delle pecore sono anche le campane, sia alla vista che all’udito.

I campanacci fanno parte della tradizione pastorale sarda, adornano il collo delle pecore lungo tutto il tragitto che le greggi percorrono durante il pascolamento, sono anche ricchezza della famiglia che li possiede, infatti hanno un enorme valore affettivo, vengono donati da padre in figlio, da zio a nipote o da padrino a figlioccio, i quali si impegnano a custodirli gelosamente. Le campane sono fabbricate in laboratori artigianali da veri e propri maestri del suono. Ogni campanaccio viene costruito a uno a uno, artigianalmente a mano con l’incudine e il martello, e martellando la lamiera in punti strategici si ottengono note e suoni diversi. Ogni artigiano deve saperne tanto anche di musica e ha un suo ingrediente segreto (che non svelerebbe per nessuna ragione al mondo), tant’è vero che riesce a rendere il suono di ogni campana unico e inconfondibile.

Di campanacci ne esistono di diversi modelli e fattura: quello tondo, quello quadro, quello lungo, di ottone di bronzo o di materiale ferroso. Ogni campana quindi ha un suono diverso, che va dal basso, al baritono, all’acuto allo squillante ecc.. Il pastore, a seconda dell’età, della taglia della pecora e delle dimensioni del gregge, o per distinguerle dalle altre sceglie le campane da appendere ad ognuna in modo tale da riconoscere le proprie pecore in lontananza, senza che neanche le veda.

Tanti altri sono anche i perché le pecore portano le campane al collo: il suono delle campane stimola le pecore a pascolare di più, perché crea un’identità sonora e quindi coesione nel gruppo – chi si trova in prossimità di un gregge viene avvertito dal suono dei campanacci – se una pecora si smarrisce, ritrova il suo gregge grazie al suono incomparabile delle campane – il pastore sente squillare una campana in lontananza e capisce che una delle sue pecore si è appartata, forse per partorire indisturbata, ma può essere facile preda di qualche animale selvatico – se le pecore avvertono un pericolo si mettono a correre e le campane suonando in modo violento dando l’allarme ai cani pastori, che a loro volta abbaiano in modo diverso.

Quindi, al pastore il compito  grazie alle campane che danno l’allarme, di stare in “campana” ed evitare eventuali pericoli che potrebbero incombere alle sue pecore, i quali possono essere predatori a quattro e talvolta anche a “due” zampe, in quei momenti li, c’è solo un “campanellino” che suona… Ma questa è tutta un’altra storia che non vorrei mai raccontare.

A me piace pensare positivo, guardo le pecore appena tosate, mentre pascolano sparse  sotto l’arcata rossa del tramonto e il sentire le campane in una molteplicità di suoni che si fondono piacevolmente, completa  l’armonia tra me e tutto ciò che mi circonda.

Un caro saluto,

Pier Angelo

Tula, 11 luglio 2015